Cosa succede ai bambini di scuola dell’infanzia se imponiamo loro le regole del distanziamento sociale, per quanto spiegate nel modo più chiaro e amorevole possibile?
I bambini della fascia 3-6 anni vivono tutto attraverso il corpo: con il corpo esplorano il mondo, apprendono, si emozionano, entrano in relazione gli uni con gli altri. Se chiediamo ai bambini di non avvicinarsi e di non essere avvicinati dai pari e dalle figure adulte di riferimento:
- Noi mettiamo i bambini in uno stato di deprivazione sensoriale. Negando un contatto con gli altri - fondamentale a questa età per essere e comunicare - si sentirebbero "circondati dal vuoto" e lasciati senza punti di riferimento fisici che confermino il loro esserci per sé e per gli altri. Se a questo aggiungiamo che l'adulto di riferimento potrebbe indossare la mascherina, toglieremmo ai bambini anche l'importante collegamento della comunicazione emozionale che passa attraverso le espressioni facciali, lasciandoli completamente nel vuoto della comunicazione corporea.
- Noi chiediamo ai bambini di bloccare le loro emozioni, che solitamente esprimono a livello corporeo, e di inibire il loro modo istintivo e naturale di relazionarsi con gli altri, che li porterebbe ad avvicinarsi e ad abbracciare le persone. In questo modo li mettiamo in una situazione di continua battaglia tra il corpo e l'istinto da un lato, che li spingerebbe ad andare verso gli altri, e la mente dall'altro, che impone loro di rispettare la regola del distanziamento, contraria alla loro natura. Un continuo stop and go massacrante in cui é impossibile emozionarsi, gioire liberamente e che rischia di produrre un blocco totale delle loro emozioni.
- Noi insegniamo ai bambini che ciò che c'è di buono e di bello dentro di loro (l'affetto che si esprime in un abbraccio) può essere pericoloso per gli altri, a causa di un pericolo però che non si vede, che non c'è materialmente davanti a loro e che non è immediatamente comprensibile. Ricordiamoci che a questa età la parte corticale e razionale non è ancora del tutto sviluppata e i bambini non sono in grado di comprendere completamente i contenuti astratti. Anche se mostrano di averli compresi, in realtà nella loro elaborazione si fondono con elementi fantastici e con ciò che prendono dalla loro esperienza e si costruiscono spiegazioni che possono sfuggire alla comprensione di un adulto.
- Ogni volta che qualcuno li evita - compagni o adulti - i bambini si sentono rifiutati o sbagliati. Per i motivi detti sopra, anche se spiegassimo la motivazione "virus", i bambini non potrebbero comprenderla del tutto e vivrebbero il distanziamento come un rifiuto perché sono "sbagliati" o "non desiderati".
- I bambini cercherebbero comunque di rispondere alle richieste provenienti da adulti importanti per loro, dicendo di aver capito e mostrandosi "bravi" nel rispettare quel che viene loro richiesto, senza mostrare in molti casi la fatica e la sofferenza che questo comportamento provocherebbe in loro, inibendo il contatto con le loro emozioni più profonde e vere.
Se tutti chiedessimo ai bambini il distanziamento per pochi minuti, li metteremmo già in una situazione di blocco e di inibizione forzata spiacevole, figuriamoci imporglielo per molte ore al giorno nella loro giornata scolastica!
Metteremmo i bambini in una condizione di TORTURA PSICOLOGICA prolungata che non potrebbe che lasciare SEGNI PERMANENTI nel loro equilibrio psicofisico e nel loro approcciarsi al mondo e alla socialità.
Ricordiamoci che una cosa è richiedere questi comportamenti nei confronti di un estraneo (ci sarà poi molto da lavorare sulla paura dell'estraneo...), altra richiederlo in una situazione di coinvolgimento emotivo come quella con i compagni e con l'insegnante, che nel contesto scolastico fa le veci del genitore ed è quindi per il bambino la persona "più importante che c’é" e alla quale chiedere affetto, calore e rassicurazione: come è possibile impedire ai bambini di andare in braccio all'insegnante in un momento di sconforto?
La maggior parte degli adulti - soprattutto chi non ha figli o ha figli grandi - nemmeno se ne accorge, ma le richieste di qualunque tipo di distanziamento sono ferite profonde che noi andiamo a provocare nell’emotività, nel corpo e nella mente di ogni bambino, ferite che difficilmente guarirebbero tanto presto e che lascerebbero segni nel loro essere adulti.
UNA BARRIERA NEL CUORE
Mascherine e distanziatori sono segni, più o meno evidenti, del distanziamento fra le persone. Interpongono una barriera tra un essere umano e l'altro e, soprattutto, ricordano che c'è un "pericolo" o presunto tale, perché non c'è assolutamente la certezza che vi sia nulla di pericoloso nel luogo e nel momento in cui la mascherina viene indossata.
Mascherine e distanziatori richiamano continuamente alla mente l'esistenza di un "problema", di un rischio connesso all'incontrare gli altri e all'avvicinarsi reciprocamente. Ci fanno percepire l'altro essere umano come un potenziale "nemico" da tenere distante.
Questo messaggio, continuamente rinnovato dalla presenza di mille mascherine o maschere in plexiglass intorno a noi, lavora sul sistema nervoso mantenendolo continuamente in allerta. Diversi studi hanno dimostrato da anni ormai i danni che possono derivare ad un organismo dalla costante e ininterrotta attivazione del sistema nervoso: malattie del sistema cardiocircolatorio e del sistema nervoso in primis, che possono svilupparsi e permanere nell’età adulta.
Vivere quotidianamente l’esperienza di questi “separatori” tra umani, anche se solo per un periodo, radica nel bambino la sensazione di paura dell’altro e dell’ambiente, continuamente sottolineata anche dalle continue procedure di pulizia e di spasmodica igienizzazione che lo circondano, trasmettendogli insistentemente il messaggio che l’altro - lo stare insieme - possa essere fonte di ansia e di timori anziché di gioia e di piacere.
Noi costringiamo i bambini a vivere con una barriera nel cuore, nella pancia e nella testa, che li fa soffrire e che li allontana da loro stessi e dagli altri. E in primo luogo dal loro essere corpo e mente insieme.
Proporre modalità di interazione solo mentali (“Non c’è bisogno di toccarsi, ci si può parlare, guardare... ”) sbilancia completamente l’equilibrio psicofisico del bambino verso l’aspetto corticale, razionale - come abbiamo visto ancora in formazione - negandogli l’esistenza come “corpo emozionale” che tanta parte ha nel suo sviluppo. Stiamo chiedendo ai bambini di essere “solo mente” e questo, se per noi adulti più concentrati sull’aspetto razionale può sembrare fattibile, richiede ai più piccoli di sradicarsi e di strappare via una parte importante di loro stessi.
Il danno, dunque, è ELEVATISSIMO
E' giunto il momento di chiederci: da cosa ci stiamo proteggendo? Il rischio è così alto, così certo e così ugualmente distribuito sulla popolazione da giustificare tutto questo? Stiamo mettendo i bambini in una situazione di grave sofferenza fisica e psicologica CERTA, per evitare loro COSA?
Qualunque genitore sarebbe disposto a dare la sua vita pur di salvare il proprio figlio.
In quale società viviamo? In una società disposta a sacrificare i bambini, cioè la sua parte più fragile e più preziosa - quindi anche il suo futuro - senza cercare qualsiasi altra soluzione o qualsiasi altro prezzo da pagare se non quello più caro e più crudele di danneggiare i propri figli?
Alcune maestre e maestri di scuola dell’infanzia preoccupati